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13.03.2010 - SE LA REALTA' SUPERA LA SATIRA
di Vittorio Feltri - Panorama
 


CANE SCIOLTO

Se la realtà supera la satira

VITTORIO FELTRI

Un omicida viene liberato perché le sue poesie rivelano un animo sensibile, mentre in mille altri casi la giustizia ha un corso assai diverso. Eppure, nessuno cambia il sistema.



Certe volte, sempre più frequenti, leggendo articoli sulla malagiustizia o relativi commenti sulla necessità di riformare l’impero della magistratura, mi viene voglia di imprecare: non sarebbe ora di cambiare argomento? Possibile che da vent’anni non si parli che di toghe e di stramberie giudiziarie? Poi ci lamentiamo perché i giornali sono in crisi e diminuiscono tirature e pubblicità. Se anche i lettori reagiscono come me, siamo fritti.

Rimane però un mistero. Se è vero, come è vero, che tutti, ma proprio tutti i partiti sostengono da quasi un quarto di secolo che bisogna mutare il sistema (leggi, tribunali, Csm eccetera), perché nessun governo e nessun Parlamento hanno provveduto a farlo, sia pure senza fretta e con molta ponderazione? Non ho mai udito risposte convincenti. Il problema c’è, e non è questo ad annoiare bensì le chiacchiere che ne scaturiscono, cui non segue mai un atto concreto. Sicché si va avanti tra un’indignazione e un’altra.

La realtà supera la satira. Sfogliare le cronache per credere. In Campania un boss della camorra con una carriera criminale degna di un trattato psichiatrico, dopo essere stato processato e condannato a 24 anni di carcere, non potendo più ammazzare dei cristiani, decide di ammazzare il tempo scrivendo poesie. D’altronde in cella non è facile dedicarsi ad attività più dinamiche. E lui compone versi a tutto spiano finché un giudice ne legge alcuni, gli piacciono, si persuade che l’autore abbia un animo gentile, sensibile alle tribolazioni infantili e adolescenziali, e gli viene la brillante idea di concedergli la libertà.

Proprio una bella storia che fa a pugni con quella della moglie di Clemente Mastella, ex guardasigilli. La quale da quattro mesi vive al confino, lontano dalla famiglia e dagli amici che le vietano di frequentare, pur non essendo ancora stata giudicata (e quindi formalmente innocente) per ipotetici reati legati a presunte raccomandazioni di tizio e caio nella pubblica amministrazione.

Anche chi non abbia dimestichezza con le pandette, paragonando i due casi, avverte l’incongruità del trattamento riservato alla signora di Ceppaloni, consorte dell’ex ministro, e al vate del «pizzo».

Come si spiega? Non si spiega. E questo è niente in confronto alle vicende di Renato Vallanzasca e di Cesare Battisti. Il primo vanta un curriculum ineguagliabile (rapine, omicidi e sequestri di persona, evasioni rocambolesche) e si beccò alcuni ergastoli in un Paese nel quale l’ergastolo di fatto è stato abolito. «René» sconta la bellezza di 40 anni di prigione, record nazionale, e finalmente gli permettono di andare a lavorare. Solo a lavorare, nel senso che la sera deve tornare a dormire dietro le sbarre. Capirai che privilegio.

Nonostante ciò, polemiche di fuoco e proteste: quell’uomo deve marcire in galera, ne ha combinate troppe. D’accordo, ne ha combinate troppe. Ma Cesare Battisti, formidabile terrorista considerato responsabile di vari assassinii, ne ha combinate poche? Non a sufficienza per cominciare a scontare uno degli ergastoli che si è meritato. La Francia, dove lui si era rifugiato, non ce l’ha restituito. Il Brasile nicchia e se lo tiene. E in Italia c’è un movimento di popolo rosso che fa il tifo per il brigatista e si impegna affinché questi resti libero. Uccidere per la pagnotta no, uccidere per la bandiera sì.

Ultima perla della settimana. Pietrino Vanacore, alla vigilia del suo interrogatorio nel processo per la ragazza accoltellata a morte in via Poma (Roma) vent’anni or sono, si è tolto la vita dopo che gliela avevano rovinata, incarcerandolo e scarcerandolo in una sequela di inconcludenti «torture legali». Un tormento che dopo vent’anni continuava.

Vanacore non ha retto. Ma era soltanto un portinaio... Le udienze proseguono.


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