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26.01.2009 - «Romano fu tradito da Veltroni Colpirono me per affossare lui»
 
RomaClemente Mastella, da ex ministro della Giustizia...
«... Unico ministro che si dimise per l’ombra di un sospetto, rivelatosi infondato...».
Va bene. Ma siamo qui a commemorare un fatto, e lei parla in veste di testimone.
«Quale fatto? E poi sono cattolico, non giudico le persone. Semmai i contesti politici».
Il fatto fu un invito a cena con delitto. Ricorda? Era il 24 gennaio di un anno fa, Romano Prodi cadde in Senato.
«Come potrei dimenticare? Ero assalito dall’ansia, dallo sgomento. Mi avevano lasciato solo, abbandonato. Tutti. Come un toro scelto dal matador, che veda la mandria guardarlo come un condannato a morte».
Prodi colpevole o vittima?
«Prodi fu vittima. Tradito dai suoi».
Andiamo con ordine, prima del premier colpirono lei.
«Colpirono me per colpire lui, questo ormai è assodato».
Sembrò tutto premeditato.
«Il governo, quando stramazzò in aula, già era morto, s’era rarefatto il vincolo tra i partiti».
Troppi partecipanti al banchetto, e gusti troppo diversi.
«Questo era il dato di partenza, ma l’atmosfera iniziale non fu affatto male. Le ricordo che io stesso regalai, in una delle prime riunioni in Umbria, foulard alle signore e ai signori...».
Tipico suo, tradizioni del Sud.
«Non solo, si pensava davvero di potercela fare, nonostante le differenze. Il piano umano non era per nulla insoddisfacente».
Pian piano l’atmosfera cambiò. Anche attorno a lei, che nel frattempo aveva fatto indulto e l’ordinamento giudiziario.
«Sì, cominciai a pagare per l’indulto, ma reggevo bene. Il peggio venne solo verso la fine. Deve sapere che una parte della maggioranza, dopo il ministro Castelli, pensava a un ministro della riscossa dei giudici. Mal si sopportava la mia ricerca di equilibrio e pacificazione, il tentativo di conservare l’indipendenza della magistratura e l’autonomia della politica».
Cominciò a litigare in Consiglio dei ministri, violentemente, con il collega Di Pietro.
«Di Di Pietro non parlo. Mi basta aver visto che il suo sponsor, il Grande Moralizzatore, l’altra sera ad Annozero abbia giustificato le raccomandazioni del figlio Cristiano come marachelle, mentre mia moglie è stata crocefissa, per una telefonata mai fatta. E io con lei».
Torniamo al fatto. Anche l’atmosfera generale mutò: Prodi si sentiva il fiato sul collo. Che cos’era successo?
«Che il governo era già caduto a ottobre. Walter Veltroni era stato incoronato leader del Pd dalle primarie: una certa scuola romana di pensiero - la stessa si può dire che portò De Mita nell’83 ad elezioni rovinose per la Dc - pensava a un cambio di cavallo in corsa. Veltroni annunciò il dialogo con Berlusconi e la volontà del Pd di andare da solo alle elezioni per far nascere il bipartitismo».
Come se l’è spiegata?
«Istinto suicida o non so cos’altro. Fatto sta che quell’annuncio parve, a noi alleati, come il suono di una campana a morto: voglio eliminarti. A me, come è successo, possono semmai ammazzarmi, ma non chiedermi di suicidarmi. Anche la religione cattolica me lo vieta».
Un «vizio» d’egemonia?
«L’idea che Prodi non ce la facesse più a tenere assieme tutti. L’idea, fallace, che la sinistra in Italia possa fare a meno del centro, mentre Prodi ha vinto due volte proprio perché cattolico e non di sinistra. L’idea, ancora più fallace, che io possa fare a meno di te al governo centrale, ma poi chiederti aiuto a livello locale. Non hanno smesso di farlo: suggerisco però a Veltroni di non scomodare certi suoi amici in Campania, nel Lazio, in Puglia. In molti di questi posti, senza Mastella, non si vince. Eppure ci vogliono far fuori anche alle Europee, con la nuova legge. Per questo dico al Pd: lasciateci in pace, non veniteci neppure a parlare per chiedere aiuto».
Intanto perché Veltroni facesse il kamikaze si doveva passare sul cadavere di Prodi.
«Più corretto dire che Prodi doveva esser fatto fuori, perché arrivasse un politico giovane, all’americana, che potesse a sua volta battere Berlusconi».
E in questo folle disegno, ecco l’ombra del mandante occulto. Uno che voleva togliere di mezzo il «pacificatore tra giudici e politica», cioè lei. È così?
«Fu chi voleva la guerra permanente e guerreggiata tra i due poteri. Io ero Abu Mazen e davo fastidio ai fanatici della magistratura, ad Hamas».
Ismail Haniyeh, il leader dei facinorosi, era nel governo?
«Certo».
Aveva un patto d’azione con il giovane cavallo di razza, si fa per dire, americana?
«Gli interessi erano certamente collimanti».
È una semplice coincidenza che Di Pietro sia stato l’unico salvato, al momento del «no alle alleanze» da parte del Pd?
«Questo lo ha detto lei».

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